By: Ludwig
Posted:
27.09.2005 @ 11:01
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| Quando si vedono certi film, non si può fare a meno di pensare che non è mai il "tema"(boxe) della storia che si vuole raccontare a fare la differenza, ma è come lo si racconta che incide veramente. Mi spiego meglio: il pugilato è un "arte nobile", ma è al contempo uno sport (?) crudele, spietato, che non ti concede "fragilità" di alcun tipo, ne fisiche, ne tantomeno sentimentali. Ed è proprio in questa sua natura che risiede e si nutre la filosofia di Frankie Dunn, un coach vecchio, stanco, disilluso e pieno di rimorsi, che cerca il perdono andando tutti i giorni in chiesa, ma in fondo al suo cuore è lui che non riesce a perdonarsi niente (ne la misteriosa separazione dalla figlia, ne l'incidente all' amico). L'incontro con una ragazza ancor più testarda e disillusa di lui, sarà la molla che gli farà provare ancora una volta cosa significhi essere un "capo" come direbbe la sua nuova allieva, o ancor più un "padre" come gli sussurrerà il suo cuore spezzato e soffocato da una "corazza" necessaria, protettiva, ma non reale. Inizia così un percorso più "adottivo" che sportivo, parafrasando Proust, una "ricerca della famiglia perduta", quella stessa famiglia che li ha "ripudiati" e che non esita, per meschina avidità,a ripresentarsi come nulla fosse. Fino allo straziante epilogo, all'estremo "atto d'amore" di un padre per la figlia, il "suo tesoro" in gaelico, il suo sangue, la sua bambina. |
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